Su «Il Piccolo» di venerdì 15 febbraio, le prime pagine raccolgono il monito della DIA, che non lascia scampo ad attenuanti di nessun genere: in Friuli Venezia Giulia le camorre si presentano con faccia e mani pulite nelle loro attività commerciali e imprenditoriali lecite. Scrive il giornalista Diego D’Amelio “E non manca il rischio d’ingresso nel porto di Trieste o nelle attività che ruotano attorno alla Fincantieri e alla realizzazione della terza corsia dell’A4. Fenomeni destinati a crescere: secondo la relazione, «in virtù della strategica posizione della regione, di ponte naturale per la Mitteleuropa e la regione balcanica, ulteriori opportunità di interesse criminale possono svilupparsi grazie agli scenari economici di nuove, emergenti e vivaci economie», in grado di offrire opportunità per riciclare i proventi dell’attività illecita. Non sempre le cose sono gestite però in doppiopetto: nel suo elenco la DIA parla pure di traffico d’armi e droga, rapine e sfruttamento della prostituzione, che spesso vedono la criminalità meridionale lasciare il passo alle organizzazioni balcaniche e cinesi”. In sintesi la relazione semestrale della Direzione investigativa consiglia di «mantenere alto il livello di attenzione di tutti gli organismi interessati a prevenire tentativi di infiltrazione» nell’economia legale. Si segnalano azioni violente non ancora allarmanti (6 incendi dolosi, 18 estorsioni e 2 casi di usura) che segnalano però una costante e strisciante penetrazione nel tessuto economico del Friuli Venezia Giulia di soggetti collegati alla camorra e alla Sacra corona nei settori commerciali e industriali e non ultimo in quello turistico del litorale costiero (Lignano, Grado Trieste). Questo ci fa capire che è finito il tempo di Trieste come “isola felice”, e ciò vale anche per il resto del Friuli Venezia Giulia. Niente allarmismi – d’accordo – però smettiamola di far finta che la minaccia mafiosa viva e prosperi soltanto in fondo alla Stivale.
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