Il 18 settembre 1938, Benito Mussolini, da Piazza Unità d’Italia a Trieste, annunciò le leggi razziali.
Una scelta, quella della città di Trieste, presa con una valutazione propagandistica precisa vista la caratteristica plurale della città e che, in quel momento storico, rappresentava un elemento di forte simbolismo per il regime fascista.
Isolare e separare, rendere la vita degli ebrei difficile, impossibile, emarginare e impoverire, discriminare ed umiliare e, purtroppo, non solo.
Atti gravissimi, atti di perdita della coscienza e del senso e dell’importanza del valore del concetto stesso di umanità. Questo accadeva di fronte all’incapacità di tutti di dire NO all’abuso ed all’uso improprio del sistema Stato, alla cancellazione dei diritti sacrosanti dell’individuo, colpendo volutamente una parte dei cittadini italiani.
Incapaci di dire NO in nome della paura, dell’ipocrisia, dell’opportunismo, dell’egoismo, dell’individualismo, in una parola sola, della vigliaccheria.
Trieste umiliata, protagonista e vittima in negativo di una pagina di storia che resterà indelebile nelle coscienze di chi non vuole dimenticare e ha il coraggio, ieri come oggi, di voler vedere le cose.
A distanza di 85 anni da quell’avvenimento si guarda il passato con attenzione, cercando di comprendere cosa abbia spinto ad accettare decisioni portate da quelle che erano le Istituzioni di allora, si guarda e si cerca di comprendere come gli uomini possano essere pronti a qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
La storia insegna. La storia si dimentica, lontana o vicina che sia. Ma la storia chiede, grida, urla ai sordi ed ai ciechi, di essere ricordata.
Trieste è stata tante volte usata e trasformata, ricordata e dimenticata, trasformata più volte in simbolo anche della forza della coercizione, luogo di ciò che si può e che non si può, che si deve e che, soprattutto, non si deve.
Ieri come oggi…
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