
Ci eravamo occupati del giovane Giulio Regeni alcuni mesi fa in occasione dell’insensata decisione del presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, di rimuovere definitivamente lo striscione per Giulio. Allora sostenevamo che la richiesta di verità per Giulio Regeni non era una battaglia con connotazione politiche, ma di dignità, civiltà e a favore della giustizia. Quel striscione giallo era ed è un simbolo di non rinuncia davanti a un crimine, un monito alle nostre Istituzioni perché continuino a pretendere collaborazione dall’Egitto.
In questi giorni è uscito un volume dal titolo “Giulio fa cose” per le edizioni Feltrinelli. Il volume è scritto dai genitori stessi, Paola Deffendi e Claudio Regeni con la prefazione del loro avvocato Alessandra Ballerini.
Ma non sono soli.
Con loro c’è l’onda
gialla che parla di Giulio, indossa i braccialetti, appende quello striscione
giallo per chiedere verità e giustizia. Perché Giulio era un cittadino
italiano, un cittadino europeo che aveva scelto la cultura come strumento di
solidarietà e giustizia sociale.
Erri De Luca ha scritto che “la verità
non viene regalata né offerta, va scippata a pezzettini, brandello per
brandello. Quello che siamo riusciti a ottenere lo dobbiamo alla mobilitazione
civile dei genitori di Giulio, che si sono caricati questo bisogno di verità e
ci hanno trascinato con loro”.
Ne parleremo giovedì 30 gennaio a “Lettera 36”(ore 13:00 e in replica alle 17:00) con Riccardo Noury, portavoce nazionale di Amnesty International.